TRACCE di Rocco Brancati: Michele Granata


1748, 25 novembre. Michele Silverio Marcellino Granata nacque a Rionero da Ciriaco originario di Cassano Irpino e da Maddalena Lauria. Fu un uomo di fede (come lo sarà due secoli dopo il vescovo di Tricarico Raffaello Delle Nocche morto il 25 novembre del 1960). Consacrò la sua vita a sostegno dei poveri, apostolo dei valori umani e cristiani. La storia lo ricorda però perché fu un "ribelle della giustizia", un martire della libertà finito sul patibolo a Napoli nel dicembre del 1799. Nei registri mortuari fu annotato: "Il carnefice, a' 12 dicembre 1799, di giovedì, levò al mondo il dotto, il magnanimo, il pio sacerdote Michele Granata di Rionero in Vulture: aveva da quindici giorni compiuto 51 anni". 



Fu impiccato (non era nobile e i nobili venivano ghigliottinati) e morì pronunciando una preghiera per la salvezza della sua anima. Tre giorni prima era stato "sconsacrato" dal vescovo di Ugento Panzini. Anche per lui valeva quella locuzione latina pronunciata da Eleonora de Fonseca Pimentel quando prima della forca, il 20 agosto del 1799 disse: "Forsan et haec olim meminisse iuvabit" (Forse persino di questi avvenimenti un giorno la memoria ci sarà d'aiuto) ricordando l'Eneide di Virgilio (Enea le pronunciò per dare coraggio ai suoi compagni nei momenti di difficoltà e di pericolo). Rievocando proprio Michele Granata molti anni dopo il suo concittadino, il meridionalista Giustino Fortunato, ne "I giustiziati di Napoli del 1799" pubblicato nel 1884, parlò di quella vera ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e dolente tutta Italia. "l'ecatombe de' giustiziati nella sola città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800...Il mondo, e l'Italia specialmente, sa i nomi e l'eroismo di gran parte di quegli uomini, sente ancor oggi tutto l'orrore di quelle stragi, conosce di quanto e di quale sangue s'imbevve allora quella piazza del Mercato, in cui al giovinetto Corradino fu mozzo il capo il 29 ottobre del 1268, e il povero Masaniello tradito e crivellato di palle il 16 luglio del 1647; ma pur troppo, ignora ancora tutti i nomi di quei primi martiri della libertà napoletana!". Il più famoso di tutti fu Francesco Mario Pagano nato a Brienza l'8 dicembre del 1748 e "giustiziato" a Napoli il 29 ottobre del 1799. Accanto a Michele Granata, provinciale dei Carmelitani e professore nell'Accademia militare della "Nunziatella", Fortunato ricordò i nomi dei patrioti lucani: l'avvocato Nicola Carlomagno di Lauria, il dottore in medicina Felice Mastrangelo di Montalbano Jonico, il sacerdote Nicola Palomba di Avigliano, l'avvocato e professore di matematica Nicola Fiorentino di Pomarico, lo studente universitario in medicina Cristoforo Grossi di Lagonegro. Furono ben 1307 i "rei di Stato" e tra i processati furono 7 quelli che il Tribunale di Matera condannò a morte (esecuzione il 20 dicembre 1799): Oronzo Albanese di Tolve, il sacerdote Michelangelo Atella di Potenza, l'industriale Romualdo Saraceno di Potenza, Rocco Napoli negoziante ed ex componente della Municipalità repubblicana di Potenza, Giosuè Ricciardi pure di Potenza e, infine, i cittadini Gerardo Molinari e Gerardo Antonio Vaglio entrambi di Potenza. Tra i 250 condannati a morte a partire dal 1794 vi furono ancora: Domenico Corrado da Potenza, Tommaso Giansante di Rionero, Lorenzo Nigro da Oppido, Nicola Palomba da Avigliano, Francesco e Giuseppe Venita da Ferrandina. Combattendo morirono: Giuseppe d'Errico da Palazzo San Gervasio, Vincenzo Manta da Potenza, Paolo Paladino da Avigliano, i fratelli Vaccaro, Francesca Cafarelli giustiziata a Tito il 27 maggio, Rocco d'Auria e Nicola Latorre fucilati ad Avigliano, Saverio Mazzola a Potenza, Vincenzo Tirico a Muro Lucano, Giuseppe Cafarelli di Laurenzana, Leonardo Abbate... A Rionero il busto in bronzo reca scritto: A Michele Granata martire della Repubblica Partenopea la città natale auspicando che gli uomini migliori nei rinnovamenti politici non vengano sacrificati. La scuola media statale che si gloria del suo nome promette di educare i giovani al culto dei grandi.

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