Nascono le Unioni montane dei Comuni

Il presente e il futuro delle comunità montane 
di Marianna Ferrenti 
Da anni le Comunità montane sono state additate di essere enti spreconi. Serve una rinascita virtuosa
Le comunità montane nascono nel 1971 con l’obiettivo di tutelare il patrimonio delle aree interne e di montagna.
Le ha introdotte una legge nazionale, che poi è stata modificata nel 2000 dal testo unico sugli enti locali, con lo scopo di valorizzare le risorse proprie di ciascun territorio attraverso «l’esercizio associato delle funzioni comunali». In pratica, «la Regione individua gli ambiti o le zone omogenee per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato delle funzioni comunali». Poi è arrivata nel 2012 la legge Calderoli, l’ennesima Riforma degli Enti locali, che avrebbe dovuto creare una governance più razionale, imponendo fra le altre cose anche una riduzione del gettito fiscale alle comunità montane e una loro riorganizzazione. Una riforma che fu amaramente contestata da molti presidenti delle comunità montane perché avrebbe segnato la loro soppressione. Giuseppe Mobilio, assegnista di ricerca in Diritto costituzionale, i cui temi di studio sono stati gli Enti locali con particolare interesse verso le Unioni dei Comuni, fa una disamina della situazione di precarietà che imperversa sulle Comunità montane. “Le Comunità montane avrebbero dovuto essere responsabili della gestione associata di servizi e funzioni dei Comuni membri. Lo scopo era quello di condurre politiche a favore di territori caratterizzati da marginalità e criticità, nella prospettiva di una valorizzazione economico-sociale della montagna. L’idea era che questi enti potessero rispondere alle aspettative delle popolazioni montane meglio dei singoli Comuni, anche attraverso opportune “economie di scala”. E’ per questo che, negli anni, sono stati messe loro a disposizione varie forme di contributi economici ed agevolazioni finanziarie. Gli sviluppi concreti, però, non sembra abbiano soddisfatto le aspettative iniziali” commenta Giuseppe Mobilio. Alla fine, le Comunità montane non si sono estinte come avrebbe dovuto prevedere prima la Finanziaria del 2008 e poi la legge Calderoli. Ma neppure si può dire che godano di ottima salute. Nel futuro ci sono le Unioni montane dei Comuni. Non si prevede quindi la soppressione delle comunità montane, bensì l’ennesima riconversione, peraltro già sancita dal decreto Monti, ma che ad oggi assume ancora contorni incerti. Intanto le Comunità montane, o quel che rimane di esse, sopravvivono annaspando nell’incertezza. Davide Missiroli, sindaco del Comune di Brisighella, è la voce fuori dal coro, che guarda al loro superamento come unica fonte di rinnovamento. “Quello che dico da amministratore locale, è che non possiamo aspettare che sia sempre il governo centrale o regionale a farci fare i passi importanti di razionalizzazione, ma dobbiamo essere noi a capire quando un ente non è più al passo con i tempi. Fino al 2003, la nostra comunità montana aveva un Presidente ed una giunta autonoma dal Comune. Poi si è riusciti a fare il passo dove i Sindaci componevano la Giunta. Oggi è stato soppresso l’ente e le funzioni sono state assorbite dall’unione distrettuale ed i cittadini non si sono accorti di nulla” ammette il sindaco. Ecco perché è importante la riforma attualmente in atto, quella che introdurrà le Unioni delle Comunità montane (già legiferate con leggi in molte realtà come in Veneto), che gestirà le funzioni pubbliche a livello distrettuale. Ma bisogna mettere un punto fermo con quanto accaduto nel recente passato. Da anni gli Enti montani sono oggetto di aspre diatribe e spesso state anche oggetto di strumentalizzazione politica. Perno centrale di aspre lotte di potere oppure di battaglie municipalistiche tra un territorio e un altro, le comunità montane sono spesso venute meno alla loro funzione originaria. Così mostrano oggi tutte le loro fragilità a partire dal problema della eccedenza assoluta di personale. Dipendenti che non sono stati adeguatamente incanalati in funzioni specifiche, specialmente nel corso degli ultimi anni. Il fallimento storico delle comunità montane consiste nel fatto che queste si sono ridotte a sostituire i Comuni assumendo personale amministrativo, senza creare sviluppo dei territori. “La legislazione della crisi, per intendersi quella successiva al 2007, non ha segnato una delle migliori pagine del nostro regionalismo. Come altri Paesi d’Europa, anche il nostro Stato ha adottato diverse misure per il contenimento della spesa pubblica. A questo scopo, sul versante dei rapporti con le autonomie territoriali, il Governo si è mosso in direzione sia di un riaccentramento delle competenze, a tutto svantaggio delle autonomie, sia di una ‘semplificazione’ dei livelli di governo” argomenta Mobilio, ricercatore presso l’Università di Firenze. Attualmente in Italia ci sono 244 enti, di cui 148 sono comunità montane ed occupano il 60,7% del totale degli enti presenti sul territorio. Le uniche regioni che hanno una copertura del 100% sono il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige, la Valle D’Aosta e le Marche. I dati Istat riportati, però, si riferiscono soltanto agli Enti certificati dal Ministero dell’Interno. Inoltre, i bilanci consuntivi degli enti locali dimostrano nel corso degli anni c’è stata una diminuzione del numero degli Enti dalle 266 comunità montane del 2011 si è passati a 244 nel 2013. Gli interventi per investimenti, funzioni e servizi ammontano a un totale di 278.160.627 milioni di euro. Sono stati spesi in competenze un totale di 65.053.803 milioni di euro. Sugli interventi correnti invece sono stati spesi euro 193. 865 240. Le spese nei servizi sono state di 1.335.299 euro (totale per funzioni per la gestione del territorio, funzioni nel settore sociale e funzioni nel campo dello sviluppo economico). “In molte Regioni sono state istituite Comunità montane anche in aree non propriamente montane. Basti pensare che nel 2007 erano arrivate ad essere ben 355, mentre dopo gli ultimi interventi del Governo all’inizio del 2016 se ne contano soltanto 190, e sono in via diminuzione. Sicuramente questa proliferazione delle Comunità montane ha comportato una distribuzione ‘a pioggia’ dei contributi erariali, con la conseguenza di determinare non solo numerosi sprechi, ma anche di impedire la definizione di una vera politica per la montagna che fosse sufficientemente strategica e a lungo termine. Inoltre non bisogna trascurare neppure la fortissima polemica che si è scatenata contro la così detta ‘casta’ politica e la distribuzione delle “poltrone”. In diversi casi le Comunità montane sono state l’occasione per cumulare cariche ed incrementare stipendi“conclude Mobilio. Davide Missiroli, precisa invece l’importanza del ruolo delle comunità montane e la loro imprescindibile funzione. “Le Comunità Montane hanno fatto molto nella gestione dei territori disagiati e rurali delle nostre colline e montagne assieme alla Regione (nel mio caso parlo dell’Emilia Romagna). La popolazione montana ha molte meno esigenze di quelle di città. Ma il presidio del territorio con servizi decentrati diventa sempre più importante così come il mantenimento delle risorse per la gestione. Meno popolazione montana significa meno presidio fisico di un territorio di per sé fragile e difficile” commenta il sindaco di Brisighella. Insomma il comune emiliano, stando alle parole del sindaco, sembra essere un esempio virtuoso di come si può gestire un’area interna superando gli inutili campanilismi e le ‘guerre’ interne che possono soltanto ostacolare lo sviluppo dei territori. Eppure, a livello nazionale, la montagna ha vissuto un’assenza della visione politica che ha messo al centro la questione del superamento della cassa integrazione per i forestali, come questione prioritaria da affrontare. Insomma si è focalizzata l’attenzione soltanto sui sintomi senza estirpare il male alla radice. L’origine della malattia che ha attanagliato le comunità montane in questi anni è stata mancanza di una visione lungimirante e programmatica da parte della politica che ha condotto, alcune realtà locali, a sprechi di risorse inutili. “Non parlo per gli altri. Il rapporto fra i nostri comuni montani e la nostra regione sono sempre stati ottimi. Il percorso fatto è stato condiviso ed hanno cercato di accompagnarci anche con alcune risorse aggiuntive. E’ chiaro che io spererei che si mettessero ulteriori risorse per le zone montane soprattutto di manutenzione del territorio, ma questo ci sta nella dialettica fra comuni e regioni. Devo dire che invece la nostra regione ci ha seguito nella richiesta di copertura di banda larga con un progetto su tutto il territorio appenninico” spiega Missiroli. Il sindaco di Brisighella, però, non ci sta a far passare il luogo comune che attribuisce, indistintamente, alle comunità montane il ruolo di ‘madre matrigna’. “Non sono un spreco di denaro pubblico. Non possiamo sempre gettare scredito nelle istituzioni che presidiano i territori. Credo solo che si possa razionalizzare la macchina pubblica con semplici modifiche senza pensare che non ci possano essere dei disagi iniziali di riorganizzazione” asserisce Missiroli. Oggi si parla di una possibile rinascita di questi enti, l’ennesima, dopo l’esanime sofferenza di questi anni. Per essere restituiti a nuova vita le Unioni montane dei Comuni dovranno puntare su adeguate politiche di sviluppo, oltre che sulla gestione associata delle funzioni. “È questa una delle sfide più importanti che le Unioni montane dei Comuni dovranno affrontare, creare politiche di sviluppo che non coinvolgano più solo la montagna ma che arrivino fino a valle. Quello che interessa a me (Sindaco ma anche cittadino) non è tanto l’istituzione Montana bensì i servizi, le politiche di sviluppo e le risorse. Inoltre le politiche di sviluppo socio-economiche non possono essere fatte solo nella comunità montana ma coinvolgendo anche la parte bassa delle valli. Per questo la nostra scelta è stata quella di costruire un’unione nell’ambito ottimale del distretto socio-sanitario con una popolazione complessiva di 89.000 abitanti anche se con comuni morfologicamente diversi (3 di collina/montagna e 3 di pianura ai piedi delle 4 valli)” sottolinea il sindaco Missiroli. Il primo obiettivo delle nuove Unioni montane dei Comuni dovrà essere quello di riorganizzare la massa dei dipendenti, rendendoli parte attiva in progetti che guardino non soltanto alla manutenzione dei boschi, la cui competenza ricade sui forestali. I dipendenti potrebbero essere trasformati così in operatori ecologici che si occupino, per esempio, della manutenzione delle fonti idriche, fornendo l’acqua dalla montagna alla pianura. Le Unioni montane dei Comuni per continuare ad avere un senso, e non essere più additate come enti inutili o fotocopie di altri enti, dovranno contribuire a ritagliarsi un ruolo fondamentale nelle economie settoriali. Per esempio, uno dei settori in cui in Italia c’è maggiore richiesta è l’industria del legno. La lavorazione del legno potrà essere la sfida del futuro se si vuole puntare a una drastica riduzione delle emissioni di C02. Questi sono i dati emersi anche nella Conferenza di Parigi a cui il presidente del Consiglio ha partecipato nei mesi scorsi. È questa una delle frontiere che le nuove unioni di comunità montane dovranno abbracciare se intendono avere una nuova vita e non lasciarsi risucchiare dalla mancanza di prospettiva politica. “Noi abbiamo trasformato prima della normativa la nostra Comunità Montana in Unione montana per poi portarla in un’Unione di ambito distrettuale. L’importante, lo ribadisco, è che si continui a fare politiche di gestione e sviluppo delle aree montane. E questo si può fare anche in unioni distrettuali. Per valorizzare le caratteristiche montane del nostro territorio, nello statuto della nostra unione “Romagna Faentina” abbiamo definito un “sub-ambito montano” dove le scelte riguardanti le funzioni e le risorse a disposizione ex-comunità montana vengono prese esclusivamente dai sindaci dei 3 comuni montani. Nulla è cambiato in peggio, anzi, abbiamo visto una maggior integrazione fra gli uffici e la possibilità di utilizzare al meglio le professionalità presenti in ambito locale con maggiore efficienza. Nel 2016 dobbiamo razionalizzare gli enti e mantenere i servizi. Questa è la sfida del futuro” conclude il sindaco di Brisighella. 

FONTE: http://www.lindro.it/

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