MICHELE GRANATA E LA REPUBBLICA NAPOLETANA Nato a Rionero nel 1748, morì impiccato a Napoli il 12 dicembre 1799
In seguito alla recente rievocazione dei fatti del 1799 di Domenico
Notarangelo
di
Michele Traficante
Il monaco
Michele Granata, martire della Repubblica Napoletana del 1799, è una delle
figure di spicco in quegli anni tormentati del Regno di Napoli che vide cadere
vittime della ferocia borbonica il fior fiore dell’Intellighenzia meridionale.
La ventata
napoleonica, espressione e conseguenza della Rivoluzione Francese che travolse
consolidate tradizioni di egemonie di caste e di dispotismi di governi assoluti
all’insegna delle idee di libertà, eguaglianza e fraternità, trovò paladini e
propugnatori anche qui da noi.
Ma con la restaurazione borbonica, che avvenne
solo grazie all’appoggio della flotta inglese al comando di Nelson e alle
imprese sanfediste guidate dal cardinale Fabrizio Ruffo e del famigerato
Gerardo Curcio, detto Sciarpa, di Polla, i più illustri patrioti pagarono con
la vita il loro fremito di libertà e di giustizia. Fra questi anche il monaco
carmelitano Francesco Granata di Rionero in Vulture che, impavido, venne
impiccato il 12 dicembre 1799 nella Piazza Mercato di Napoli.
Michele Granata
era nato a Rionero in Vulture il 25 novembre 1748 dai coniugi Ciriaco e
Maddalena Laurìa. La sua famiglia era oriunda, di origine spagnola, da Cassano
Irpino. Al fonte battesimale ricevette i nomi di Michele, Silverio, Marcellino.
Francesco Saverio è il nome che scelse nell’Ordine Carmelitano, dove si
consacrò alla vita monastica. Cominciò i suoi studi nel seminario di Melfi e,
morto il padre nel 1579, con il fratello minore Tommaso si recò a Napoli per
perfezionarsi nell’erudizione, come si usava tra le famiglie benestanti del
tempo. Entrato nell’Ordine dei carmelitani scalzi nello stesso anno, si
distingue per intelligenza, ingegno e dottrina. Per la sua notevole capacità
didattica venne nominato Padre Maestro: In seguito assunse la carica di Padre
Provinciale Diffinitore perpetuo nel suo Ordine. Tornò per un breve periodo in
provincia fermandosi a lungo, come confratello dei monaci, nell’antico convento
di Barile. Appena trentenne nel 1778, venne chiamato come professore di scienze
matematiche all’Accademia militare della Nunziatella. Pubblicò nel 1780 una “Breve notizia della vita di Nicolò Martino”, che dedicò agli alunni del
Battaglione Real Ferdinando. Inoltre diede alle stampe per gli allievi della
“Nunziatella”: Elementi di algebra e geometria. Nel 1787 fu
dispensato dall’insegnamento con assegno di pensione.
Due anni dopo,
però, dopo aver provato anche il carcere per motivi non del tutto chiari, venne
richiamato all’insegnamento nella stessa Accademia militare. Pubblicò in versi
un Omaggio a Ferdinando IV, renduto alla
regia Accademia militare per il di lui ritorno dalla Germania. I riverberi delle idee repubblicane che giungevano da
Oltralpe incrinarono la sua fede monarchica. Nel 1793 lasciò l’insegnamento e
si ritirò, come rettore dei carmelitani, nel piccolo convento di Montesano.
Qui, fra l’altro, si prese cura dell’educazione dei suoi due nipotini Tommaso e
Luigi, figli del fratello Benedetto, che dimoravano nei pressi del convento.
L’anno dopo prelevato, con altri limpidi repubblicani, fra cui l’abate
Monticelli dei Celestini, monsignor Forges Davanzati, Eleonora Pimentel, venne
rinchiuso nella fortezza di Gaeta. Liberato, per i buoni uffici del principe di
Castelcicala, il 25 luglio 1798 tornò all’insegnamento presso l’Accademia
militare, ma per un breve lasso tempo.
Durante il
breve periodo della Repubblica partenopea (22 gennaio- 23 giugno
1799) la città
di Napoli venne divisa in sei cantoni o mandamenti. Per la precisione: Montelibero (rioni Montecalvario e
Chiaia); Colle Giannone ( rioni
Avvocata e Stella); l’Umanità,
(quartieri San Carlo all’Arena e Vicaria); Masaniello,
(rioni Mercato e Porto), il Sebeto,
(quartieri San Lorenzo e Pendino), Sannazzaro
(rioni San Ferdinando e San
Giuseppe).
Michele Granata
ebbe l’incarico di reggere, nella qualità di Commissario, il nuovo cantone Sannazzaro
( comprendente i rioni di San Ferdinando e di San Giuseppe), con Domenico
Bisceglia, Ignazio Bonocore e Celestino De Marzi per issarvi orgogliosamente
l’albero della libertà. In tale periodo inviò nell’allora Provincia di
Basilicata, a diffondere e sostenere le idee repubblicane, il giovane Tommaso
De Liso. Dopo la caduta della Repubblica Partenopea Michele Granata si rifugiò
nel convento di Montesano. Vi venne prelevato da una numerosa banda di
scellerati e, con altri patrioti, trascinato al Carmine maggiore dove venne
condannato dalla Giunta di Stato all’impiccagione. Nel suo caso venne
pronunciata la seguente sentenza: “Napoli,
5 dicembre 1799- Il Padre Francesco Saverio Granata, religioso carmelitano
inquisito, stato in prigione prima della ribellione, reo di stato per aver
radunata gente nell’entrata dei Francesi nella Piazza Mercato, predicando
contro la Monarchia e le Persone Reali, esponendo i vantaggi della democrazia
nell’abolizione delle cacce e pesche riserbate, gabelle e feudalità; discreditando
le operazioni del re nella vendita degli argenti delle chiese e
nell’amministrazione della giustizia, per aver sottoscritto un ricorso con i
più decisi repubblicani per la dimissione di alcuni rappresentanti delle
cariche; per essere stato iscritto all’elenco della “Società Popolare” ed uno
di quei che frequentavano la casa del
giustiziato don Prosdocimo Rotondo; e per aver finalmente sottoscritto con
molti altri una carta che pubblicava la detronizzazione di Sua Maestà da
ambedue i Regni; E’ stato condannato a morire sulle forche precedente
dissacrazione con confisca dei beni, con essersi disposta l’esecuzione della
sentenza”.
Il 12 dicembre,
dopo essere stato sconsacrato tre giorni prima da mons. Giuseppe Corrado
Panzini, vescovo di Ugento, assistito e confortato dalla Compagnia dei Bianchi,
il monaco rionerese saliva fieramente il patibolo e rendeva l’anima a Dio. Nei
registri mortuari della Compagnia dei Bianchi della Giustizia ( padri designati
ad assistere i condannati a morte) risulta annotato: Il carnefice, a’ 12 dicembre 1799, di giovedì, levò al mondo il dotto,
il magnanimo, il pio sacerdote Michele Granata di Rionero in Vulture: aveva da
quindici giorni compiuto 51 anni”.
Un mistero
resta quello delle ossa di Michele Granata, che secondo i confratelli del
Carmine Maggiore, si troverebbero, purtroppo alla rinfusa, nei sotterranei
della chiesa.
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