“Sublime specchio…”. Il dott. Michele Libutti si racconta

In un bel volume i momenti di vita (quasi biografici) del medico scrittore.
di Michele Traficante

Ogni persona è uno scrittore potenziale, sostiene il dott. Michele Libutti ed elenca pure alcune condizioni perché si diventi un vero scrittore: la naturale propensione ad esporre in modo accattivante anche cose di poco conto, la diversa sensibilità, l’educazione, il bagaglio culturale, lo status sociale, l’ideale politico, la maggiore o minore lucidità mentale, la fede (ammesso che ne abbia qualcuna), la capacità di elaborare e sintetizzare tutto quello che sembra degno di essere portato a conoscenza degli altri, la tolleranza, il pragmatismo ed altro. Ben detto! Noi, però, riteniamo di doverne aggiungere una, forse la più importante: il coraggio, il coraggio di pubblicare, di affrontare il giudizio del pubblico, per lo più critico e non sempre benevolo.




Di coraggio, dobbiamo riconoscerlo, il dottor Michele Libutti ha dimostrato di averne tanto, poiché è giunto a pubblicare, con questo, ben dodici volumi. E nel giro di 15 anni! Mica male!
Questo libro Sublime specchio, Edizioni NuovaPrhomos, Città di Castello (PG) pagg.145, si discosta da quelli precedenti, nei quali l’autore, attingendo per la maggior parte dalla sua esperienza di uomo e di medico di base, presenta fatti e personaggi con una buona dose di fantasia. No, in questo libro Michele Libutti parla di sé e i personaggi che chiama in causa sono strettamente legati alla sua vita vissuta in famiglia, nella scuola, nelle amicizie e nella professione. Ne viene fuori un “ritratto”, quasi una autobiografia. Non per niente in copertina riporta la foto dei genitori il giorno delle loro nozze. Il titolo, poi, del volume dice tutto: Sublime specchio…”, che sono le parole iniziali di un sonetto di Vittorio Alfieri noto come Sublime specchio di veraci detti, / mostrami in corpo e in anima qual sono; è un autoritratto in versi con cui si inaugura un costume, quello del componimento autodescrittivo, che si sviluppa tra i poeti dell'Ottocento romantico, tra i quali Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni. Questo sonetto fu scritto da Vittorio Alfieri sul retro di un suo ritratto eseguito dal pittore francese Xavier Fabre. 
Una quasi autobiografia del dott. Michele Libutti, dunque; “ma non - come scrive Deana Summa nella Postfazione -, di una autobiografia narcisistica, come il richiamo ad Alfieri erroneamente può indurre a credere. No, anzi c’è una vivace e pittoresca coralità. In filigrana si intravede Rionero con i suoi personaggi mitici, con i suoi campanilismi politici e calcistici, con i suoi mores carnascialeschi”.
 Innanzitutto, non può sfuggire una delle caratteristiche del “personaggio chiave”, cioè l’autore del libro. Egli si mostra in particolare, per dirla in gergo studentesco, “un secchione”, cioè uno che studia molto. Già nella scuola elementare Michele Libutti era bravissimo, tanto che il maestro gli dava sempre dieci; subì però una forte delusione quando una studentessa dell’Istituto Magistrale tirocinante nella sua classe, forse non abituata a voti così alti, nel correggere un suo compito gli mise un otto. A riportarlo su rimediò il suo maestro che gli cambiò il voto in dieci. Anche nel corso degli studi successivi egli si distinse per alto profitto e risultati invidiabili. “Mi è sempre piaciuto studiare - confida Michele Libutti dopo aver conseguito anche la laurea in Lettere Classiche -. Se fosse stato possibile avrei fatto lo studente a vita e avrei frequentato volentieri altre facoltà”.
Sono ricordi, certamente rimasti indelebili nella mente dell’autore, che riaffiorano con tanta nitidezza e particolari tali da sembrare spezzoni di un film che scorrono sotto gli occhi del lettore che ne resta affascinato. Certo, Michele Libutti non ce li presenta “per mettersi in mostra”, per far vedere “quanto è bravo”, ma forse per un bisogno dell’anima e perché ritiene che possano insegnare qualcosa nel conoscere come siamo fatti, anche noi rioneresi. Hemingway diceva che bisogna sempre aver vissuto ciò che si racconta. Rilevanti perciò sono alcuni aneddoti raccontati nel volume, che ci hanno particolarmente colpiti. Si ricorda il maestro supplente che invoglia ad amare la democrazia, fra lo sconcerto degli alunni che dal loro maestro (comunista) sono stati diffidati dal seguire la democrazia “cristiana”; ovviamente il chiarimento successivo corresse l’equivoco. C’è l’espressine quasi stizzita del padre dell’autore, che, nel messaggio pubblicitario alla TV di una nota marca di caffè, alle parole ”Più lo mandi giù…” aggiungeva: “E più sei stronzo!”. Grottesca è la figura del bidello professore che all’università sostituiva il docente nello studio di anatomia umana. Esemplare è l’episodio della bocciatura di Libutti dovuta a pregiudizi (di classe sociale?) di un preside (Astolfo) che stroncò il suo “sogno” di diventare un magistrato e che cambiò radicalmente il suo corso di studi verso quelli di medicina. Grave fu la delusione verso la zia americana che, contrariamente al solito, si limitò a regalare ai nipoti solo 20, 30 lire rispetto alle 500 abituali. E poi il “sogno proibito” di avere una bicicletta propria a causa delle ristrettezze economiche della famiglia. E ancora la “disavventura della “Dura Lex”, quando senza protestare, con la meraviglia del vigile, pagò (l’unico fesso) una multa per una sosta vietata, fatta, a causa di una visita d’emergenza ad un paziente,  in un luogo ove vi erano anche altre autovetture passate indenni. Ci sono tanti altri episodi interessanti e significativi, tutti raccontati con lo stile agile e brioso, caratteristica che contraddistingue i testi del dott. Michele Libutti, che ne rendono la lettura sempre assai gradevole.
Insomma una carrellata di fatti e ricordi personali che ci presentano l’uomo comune nelle varie situazioni di esperienza vissuta in una comunità con tante sfaccettature economiche, sociali, culturali, di costume e tradizioni che, forse, le nuove generazioni ignorano e non conosceranno mai.
Ma chi è il dott. Michele Libutti? E qui c’è un certo suo compiacimento, specie quando parla dei suoi tre figli e questi parlano di lui, anche nel classico compito scolastico: “Parla della persona adulta con cui vai particolarmente d’accordo”.
A conclusione, l’autore, quasi per essere fedele ai versi dell’Alfieri, non si esime dal tracciare un suo autoritratto e, come riflesso in uno specchio tridimensionale “per rivedermi lungo l’arco della mia vita”.  In effetti, un autoritratto dedicato a se stesso, con aneddoti, eventi e personaggi che scorrono come sequenze di un film, che tengono avvinto il lettore fino all’ultima scena, tanto che alla fine si è portati a dire con un certo rammarico: “Il film è già finito?”. Siamo però sicuri che, conoscendo l’autore, ci sarà una seconda parte. Per la delizia dei suoi numerosi lettori.   

Vero, dott, Libutti?

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