Meglio
tardi che mai! Ma basta?
La Regione
Basilicata si è decisa ad impugnare la legge “Sblocca Italia”.
di
Michele Traficante
“E che n’ parlam’ a fa!”,
è espressione di una nota commedia di Eduardo De Filippo riandata in onda
recentemente sulla TV nazionale.
Ed è quanto ci viene da
dire, certo con grande rammarico, di fronte a quanto si sta verificando in
Basilicata in merito alle estrazioni petrolifere. Infatti, sembra che,
purtroppo i “giochi siano fatti” e a nulla vale esternare, pacificamente, le
preoccupazioni dei lucani di fronte agli evidenti e denunciati rischi
ambientali che la nostra regione corre in seguito alle selvagge trivellazioni
petrolifere. Anche la recente decisione del presidente della Regione, Marcello
Pittella, d’impugnare il famigerato art.38 della legge “Sblocca Italia”
tranquillizza più di tanto. Non c’è da fidarsi!
La Basilicata rischia di
diventare la “gruviera” d’Italia a causa delle trivellazioni selvagge per il
petrolio. E i lucani, a quanto pare, non possono farci niente. L’articolo 38
della legge “Sblocca Italia” (L.164/2014), checché se ne dica, toglie in
concreto ai lucani ogni possibilità d’impedimento alle ulteriori trivellazioni
petrolifere ovunque e comunque. Con buona pace dei politici nostrani, delle
numerose organizzazioni ambientaliste e dei tanti movimenti dei cittadini “ Non
alle trivelle” che inutilmente hanno cercato (e cercano) ”disperatamente” con
vibranti manifestazioni di piazza, fra cui quella di Melfi di qualche tempo fa,
di far sentire la loro voce di dissenso e di opposizione. Benché qualcuno abbia
cantato a suo tempo vittoria in seguito alle modifiche apportate al famigerato
art. 38, l’ultima parola spetta al Governo, e ultimamente è stato dimostrato,
con gli esiti facilmente prevedibili.
Ma sono i lucani
veramente consapevoli e pienamente a conoscenza dei gravissimi rischi che le
perforazioni petrolifere nella regione produrranno all’ambiente e alla salute
dei suoi abitanti? Si parla tanto, negli ultimi tempi, di royalties, dei
milioni di euro che arriverebbero nelle casse regionali, dei vantaggi sul piano
economico per le popolazioni lucane. Ma nessuno, o quasi, parla in maniera
chiara e convincente dei danni sia per la salute dei cittadini e sia
dell’irreversibile danno ambientale che comprometterebbe la vera ricchezza
della nostra regione: acqua, vino, pregiati prodotti agroalimentari, senza
parlare delle potenzialità artistiche, storiche e turistiche. Chi dice, per
esempio, dei costi altissimi sul piano sanitario e sociale, per fronteggiare e
curare i sempre più numerosi malati affetti da patologie tumorali?
Vogliamo tentare, nei
limiti delle nostre capacità, di fare
luce su tali aspetti riprendendo quanto illustrato in un convegno di
Matera qualche tempo fa e pubblicato sulla Nuova del Sud Basilicata a firma di
Debora Desio.
Com’è stato ampiamente
spiegato da studiosi chiara fama, fra cui la dott.ssa Maria Rita D’Orsogna,
docente di fisica presso l’Università di California ed esperta chiamata in
diversi convegni nazionali in Italia, i giacimenti petroliferi dalle nostre
parti sono scomodi da raggiungere e profondi. La prima fase di lavorazione,
quindi, necessita di fanghi e fluidi perforanti (altamente tossici) che
permettono di lubrificare la trivella e cementificare il pozzo. Questi fanghi
sono composti da oltre 500 diverse sostanze. L’iniezione di tali fanghi,
durante la fase di perforazione e di tutta l’esistenza del pozzo stesso, libera
nel terreno circostante quanto nelle falde acquifere sostanze tossiche
altamente inquinanti. Questi fanghi e fluidi necessitano di una fase di
smaltimento complicata e molto onerosa, per cui spesso vengono smaltiti
illegalmente. Le compagnie petrolifere non dichiarano i componenti di questi
fanghi, ma alcuni studi hanno ritrovato tracce anche di sostanze radioattive.
Senza dire che il
petrolio italiano, compreso quello della Basilicata, secondo l’ENI, risulta
“amaro e pesante”, non di ottima qualità. Pesante perché le molecole che lo
compongono sono troppo lunghe per trasformarlo in benzina, amaro perché impuro
per l’elevata presenza di gas sulfurei. Infatti, nella scala di purezza del
petrolio si va da un minimo di 8 (il peggiore), ad un massimo di 50 (il
migliore), quello lucano è 15. Troppo corrosivo quindi per percorrere Km di
oleodotto, distruggerebbe le condutture, per cui alle compagnie petrolifere
conviene costruire i famosi “Centro Oli” in cui si divide il petrolio senza
zolfo dallo zolfo solido. Vedi Centro Oli di Viggiano e quello in allestimento
di Corleto Perticara. Questo processo
immette nell’aria idrogeno solforato, in
altre parole la fiamma sempre accesa. L’idrogeno solforato è altamente tossico.
Quindi il rilascio costante nell’aria di tale sostanza ha come effetto
collaterale disturbi della pelle, degli occhi, ai polmoni, difficoltà
respiratorie, bronchite, nausea, confusione, depressione. A lungo andare, danni
permanenti. Tumori e cancro. A una persona autorevole cui abbiamo fatto
presente questo stato di cose, ci ha candidamente risposto: “E vi lamentate voi, avete l’oncologico!”.
Ma vi sono altri rischi
gravi a causa delle perforazioni petrolifere. Ci riferiamo ai danni verso
l’ambiente. Le estrazioni continue su un territorio provocano attività sismica
e il fenomeno della subsidenza. Studi sulla sismicità in ambito petrolifero
hanno evidenziato il rischio di attività sismica indotta che può verificarsi
nei territori interessati dalle estrazioni, scosse che in taluni casi possono
raggiungere anche 6-7 gradi sulla scala Richter. La Basilicata, e la zona del
Vulture in particolare ad alta sismicità, vengono già periodicamente colpite da
gravi terremoti (1930, 1980 per citare gli ultimi e i più disastrosi) che hanno
lasciato tristemente il segno.
La subsidenza, invece è
il fenomeno per cui “svuotando” il sottosuolo si abbassa il livello del terreno
per i vuoti che si creano. Si tratta di un fenomeno questo irreversibile e che
non si può neppure fermare.
Un discorso a parte c’è
da fare per quanto riguarda il beneficio economico derivante dai milioni di
royalties che “pioverebbero” sulla nostra regione. C’è da dire che esse sono
irrisorie rispetto ai benefici che dal petrolio estratto ne ricavano le
compagnie petrolifere e lo Stato centrale. Percentuale di gran lunga inferiore
di quella pagata altrove (In Libia del 90%, in Norvegia il l80%, in Canada il
60”, in la Russia e l’Alaska del 60%, per fare alcuni esempi). In Basilicata
pare al 7%, quindi, il petrolio è quasi svenduto.
Ma ci poniamo la
domanda: i milioni di royalties già incassati dalla Regione negli anni scorsi
dalle estrazioni petrolifere quanto e come hanno migliorato le condizioni
economiche, sociali e culturali delle popolazioni lucane? I dati che ci vengono
“snocciolati” sono impietosi. Come se non bastasse la collocazione dei lucani
al primo posto per povertà, si aggiungono i dati allarmanti della
disoccupazione galoppante, della chiusura di fabbriche, del continuo fallimento
di piccole imprese artigiane e chi più ne ha più ne metta. A che servirebbero
gli eventuali ulteriori milioni di euro previsti dalle maggiori estrazioni
petrolifere in Basilicata? Ad incrementare clientela e aumentare consensi
elettorali? Vedi la recente decisione di volerli utilizzare per ripianare i
bilanci dei comuni in deficit, in primis Potenza. A nulla sono valse le sollecitazioni dei
lucani di chiedere al presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella,
di impugnare a suo tempo il famigerato art. 38 della legge “Sblocca Italia”.
Oggi, finalmente, si è deciso a fare ”il grande passo”. Evidentemente neanche
lui si fida più delle assicurazioni del Governo. Intanto continua da parte di
alcune compagnie petrolifere “l’assalto alla diligenza” con la richiesta anche
di trivellare nel Mar Ionio, cui si contrappone la decisa presa di posizione
del sindaco di Policoro, Rocco Leone,
che ha "cominciato lo sciopero della fame nella Casa Comunale, per
protestare contro la decisione del Governo Renzi, di far trivellare il Mar
Jonio dalle società petrolifere”. Sciopero poi sospeso
in seguito ad assicurazioni di Marcello Pittella che sembra voglia “sotterrare l’ascia di guerra” contro il Governo. Intanto domande di perforazioni sono state
avanzate anche nell’area nord della Basilicata, fra cui recentemente quella
detta “Palazzo San Gervasio” che interesserebbe l’area del Vulture Alto Bradano
di circa 47 mila ettari e 13 Comuni della Provincia
di Potenza (precisamente Acerenza, Banzi, Barile, Forenza, Genzano di Lucania,
Ginestra, Maschito, Montemilone, Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Rapolla,
Ripacandida e Venosa). Insomma,
si andrebbe incontro a uno scellerato inquinamento ambientale che causerebbe
seri danni alla salute che non trovano una cifra che possa pareggiare il conto.
Perciò: meditate lucani,
e meditate seriamente! Prima che sia troppo tardi. L’indifferenza e l’inerzia
possono essere estremamente pericolose!
” Difendiamo la nostra
terra e il nostro futuro!”.
Commenti
Posta un commento