Fenice, nulla è certo (tranne la morte ed il funzionamento dell’inceneritore)


Il 23 dicembre scorso, con decreto cautelare urgente, il TAR di Basilicata riaccende il forno rotante*.Il termodistruttore non si deve fermare e in un lampo, il provvedimento della Regione Basilicata presentato il 9 dicembre in pompa magna da Pittella per sospendere l’attività del forno rotante, va in fumo! Fenice-EDF ha più interesse a funzionare di quanto le istituzioni ne abbiano a difendere l’interesse e l’incolumità dei cittadini. Atti apparentemente severi e decisivi, alla fine si dimostrano inefficaci. 

L’Autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), la tanto decantata “arma” che doveva imporre controlli più stringenti e dare la possibilità di bloccare l’attività dell’inceneritore quando necessario – come avevamo tristemente previsto – già alla prima occasione si è invece rivelata “inefficace e inapplicabile“. Gli avvocati di Fenice-EDF corrono a prendere qualsiasi contromisura ai lacci e lacciuoli di burro che la Regione tenta d’imporre. Domanda: come si fa a stilare atti tanto facilmente impugnabili, pur avendo fior fiore di funzionari d’altissimo rango ed un ufficio legale di cotanto livello a disposizione? Sono trascorsi più di due mesi dalla emissione di fumo rossastro visibile e persistente, ma ancora non ne conosciamo la natura: nessuna spiegazione certa e certificata è stata fornita. Fenice-EDF pesca dalla letteratura scientifica lo iodio come *POSSIBILE *causa dell’emissione rossastra, ma mai afferma chiaramente di aver bruciato rifiuti che lo contenessero. L’Arpab coglie questo appiglio per chiedere chiarimenti che nulla chiariscono. Pur ammettendo che sia stato bruciato lo iodio, di che tipo di iodio si tratta? La domanda è ancor più legittima dopo l’episodio (?) del 16 dicembre, quando un camion di rifiuti urbani proveniente dalla discarica di Atella è stato bloccato perché risultato essere “radioattivo” per la presenza di “iodio131” nel suo carico. Un mezzo che ci risulta essere ancora parcheggiato nell’area interna all’inceneritore in attesa di analisi da parte della squadra speciale NR (nucleare radiologico) dei Vigili del Fuoco di Matera. Persino il sindaco di Melfi, pescando nella letteratura scientifica, cita altri e ben più pericolosi elementi che possano dare origine alla colorazione rossastra dei fumi: ossidi di azoto e di ferro, cromo, cromo esavalente, nichel, cadmio, rame. Eppure sarebbe sufficiente conoscere quali specifici rifiuti siano stati bruciati il 2 novembre, la loro provenienza e non i generici codici CER! Tutti dati che i laboratori di Fenice-EDF devono avere, ma che forse nessuno ha chiesto con sufficiente vigore. Tutto questo alimenta dubbi, perplessità e molte certezze: che l’interpretazione delle norme ambientali sono sempre a favore dell’attività dell’inceneritore, che il TAR è rapidissimo a cautelare le esigenze del gestore, che l’AIA è ricca di prescrizioni non ancora ottemperate e che nessuno nel frattempo fa rispettare, che l’inquinamento della falda acquifera persiste senza un piano di bonifica, che l’ARPAB non riesce ad effettuare tutti i controlli necessari, che i lavoratori di Fenice-EDF denunciano problemi di sicurezza interna innanzi al Prefetto e all’assessore Berlinguer senza risultati, che le indagini epidemiologiche sono solo chiacchiere che non si tenta nemmeno di mettere in atto, che i tempi biblici della giustizia stanno spegnendo le aspettative di verità del processo a carico di Fenice-EDF. Un quadro completamente sbilanciato a favore di una “azienda insalubre di classe 1″ — regolarmente autorizzata – che a distanza di oltre 15 anni di attività, non offre la ben che minima garanzia per le popolazioni che vivono e lavorano nelle sue prossimità. L’unica speranza che ci rimane è che la magistratura accenda un lumicino nel buio totale dal quale siamo avvolti. Oppure non sapremo mai cos’è fuoriuscito dal camino E2 il giorno della commemorazione dei defunti, se siamo stati avvelenati, se quel 2 novembre 2014 rimarrà solo lo scatto fotografico di un cittadino che, allertando le forze dell’ordine, si illudeva di ricevere una legittima e tempestiva risposta. 

Comitato Diritto alla Salute

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