"Chi festeggia Sant'Antuono, tutto l'anno 'o pass' bbuon"


La notte tra il 16 ed il 17 gennaio i borghi di tanti nostri paesi si infiammano e ovunque ardono i “fucaroni” di Sant’Antuono. Sant’Antonio Abate è uno dei santi più venerati. E’ spesso raffigurato con ai piedi un porcellino e tante lingue di fuoco. Proprio un richiamo a quel sacro fuoco è rappresentato da tutti i fucaroni o focaroni o addirittura fucarazzi che vengono allestiti e poi arsi nella notte dedicata al Santo.


La tradizione prevede che i giovani vadano a raccogliere le fascine da ardere e che, poi, venga allestita la pira alta quanto più possibile, alla quale viene dato fuoco alla sera, appena cala il sole. Sulle braci vengono poi arrostite salsicce e carne di maiale offerta agli astanti. Le serata dei fucaroni si concludono con i tradizionali balli popolari, tammurriate e pizziche.  Gli immensi falò infiammano i cortili delle vecchie case contadine e le piazze, e assieme al vino rosso, riscaldano gli animi intorpiditi dall’inverno, il profumo del maiale cotto sulle braci pervade i vicoli e le piazze e la musica delle tammorre e dei canti popolari risuona ovunque. Recita l’adagio popolare "Chi festeggia Sant'Antuono, tutto l'anno 'o pass' bbuon". La festa ed il fuoco propiziano una buona annata.

Come spesso accade, le origini di questa festa arcaica sono incerte, e affondano le loro radici nei culti pagani. Il fuoco sacro richiama gli antichi fuochi che nei tempi passati venivano utilizzati dai contadini nelle campagne per tenere lontano le forze maligne, le malattie e le energie negative. I contadini usavano far passare gli animali attraverso il fuoco perché credevano che questo rito servisse per tenere lontani i problemi e assicurare prosperità.

Sant’Antonio viene considerato il protettore degli animali domestici, tant’è che una sua immagine è presente in ogni stalla. Tuttavia, questa credenza nasce da una interpretazione errata dell’iconografia. Il Santo, alle origine, veniva rappresentato in lotta contro i diavoli che spesso venivano raffigurati in forma di bestia, più spesso di maiale. Col tempo, il maiale perse il suo significato simbolico negativo e fu visto come un semplice animale da aia, posto sotto la protezione del santo. Si diffuse la tradizione di allevare un maiale a spese della comunità, che ogni anno veniva ucciso in occasione della festa di Sant’Antuono e venduto. Il ricavato veniva dato, poi, ai bisognosi. L’usanza risalente al medioevo è ancora diffusa in Abruzzo ed in Lucania. Il fuoco rituale rappresenta l’arma per ottenere la vittoria del bene sul male, e richiama proprio alla figura del santo che vinse i diavoli ricacciandoli tra le fiamme dell’inferno.

In Abruzzo le pire vengono chiamate “focaracci” e vengono accese sui piazzali delle chiese, o sulle aie. I giovani del paese si travestono, in una sorta di carnevale anticipato ed impersonano ora il santo, ora orde di diavoli, ora l’angelo, ora la donna tentatrice.

Ogni paese ha la sua tradizione piccola o grande che sia e la segue alla lettera la notte dei fucaroni.

Molto famosa per le sue dimensioni è la Focara di Novoli, nel Salento. La Focara non è una semplice pira ma, ogni anno assume una forma diversa. Talvolta viene costruita ad arco, di modo che la processione con il santo, possa attraversarla. E’ formata, in genere, da circa 90.000 fascine ed il lavoro per realizzarla è molto impegnativo. Lo spettacolo, tuttavia, è garantito ed attrae spettatori da tutto il sud. La teatralità della Focara è assicurato dal fatto che il fuoco viene acceso da una serie di fuochi d’artificio molto suggestivi.

ll 16 gennaio si rinnova anche l'antica tradizione della festa di Sant’Antonio Abate a Macerata Campania, il “Paese della Past’e’llessa“. La “past’è llessa”, particolare piatto tipico, è una pasta fatta con le castagne lesse che viene servito durante la festa.  L’evento si dipana lungo un arco di nove giorni  con giochi tradizionali, fuochi pirotecnici, mercatini e ottima cucina. Il cuore pulsante della manifestazione sono le Battuglie di Pastellessa. Come a Portico di Caserta, a Macerata c’è la tradizione di suonare strumenti contadini come le falci, le botti ed i tini. E’ davvero straordinario e sorprendente il suono che esperti musicisti sono in grado di trarre fuori da questi strumenti. Tali suoni, nati dalla percussione delle botti con magli, dei tini con mazze e delle falci con ferri creano una sinfonia molto pittoresca, chiamata “della pastalessa”. Mille bottari e quindici carri devozionali sono dedicati a questo. La tradizione popolare riteneva che il suono della pastellessa avesse un significato rituale e che venisse prodotto allo scopo di scacciare gli spiriti maligni dalle abitazioni ed inoltre, propiziavano un buon raccolto perché serviva a celebrare la fertilità della “Madre Terra”, da ripetere rigorosamente in concomitanza con i cicli astronomici.

Molto legato all’imminente festività del Carnevale, la notte dei fucaroni apre la strada ai riti carnascialeschi.

Nel comune di Teora, in Irpinia, si usa dire "Chi bbuon' carneval' vol' fà da sant'Antuon' adda accum'enzà", ovvero,  "chi buon carnevale vuole fare da sant'Antonio deve iniziare”. Il tradizionale falò viene acceso  presso la chiesa di San Vito ove è custodita la statua si Sant'Antonio Abate. Si accompagnano i riti della festa con la frase "Sant'Antonij Abbat' cu rr' ccauz' arrup'zzat' cu lu cauzon' dd' vullut' famm' truvà quedd' ch' agg' p'rdut'", ovvero,  "Sant'Antonio Abate, con le calze rappezzate, con i pantaloni di velluto, fammi ritrovare ciò che ho perduto". Al Santo viene anche attribuito il dono di aiutare a ritrovare gli oggetti perduti.

Anche in Puglia, si usa dire "Sant'Andunje, masckere e sune!", ovvero "Sant'Antonio, maschere e suoni" ed il tradizionale fucarone apre i riti del Carnevale di Manfredonia.

Nella notte di Sant'Antuono, il calare delle tenebre si dissolve e non avvolge nella sua morsa case, animali e persone perché è ricacciato indietro dal tremulo bagliore delle fiamme che prendono vita piano piano e poi divengono imponenti. Quando poi si dissolvono, lasciano al suolo i carboni ardenti che accompagnano lo scorrere della notte fino all’alba successiva, in attesa del prossimo rito, in un continuo tentativo di esorcizzare l'angoscia della fine.

Francesca Di Pascale
fonte: social.i-sud.it

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