Quando la Madonna della Bruna poté più del colera e del vaiolo


Tra metà ottocento ed inizio novecento, con l’approssimarsi della stagione calda, puntualmente si abbatteva il flagello delle malattie epidemiche ed endemiche, particolarmente esiziali per  l’abitato di Matera.
 
Si poneva di conseguenza il problema se consentire il regolare svolgimento della festa cittadina del 2 luglio, quella dedicata a Maria Santissima della Bruna, o vietarla al fine di impedire che la straordinaria concentrazione di persone, potesse dare luogo a fenomeni di contagio. Frequenti erano quindi le comunicazioni che riguardavano i tutori dell’ordine e della sanità pubblica, come nella relazione del 1883 inviata dal Sottoprefetto di Matera al Prefetto di Potenza:

“[…] La salute umana nell’ultimo periodo semestrale del decorso anno sarebbe stata ottima nel Circondario di Matera per la poca copia delle solite febbri malariche se la difterite non avesse fatto le sue apparizioni fuggevoli in qualche Comune e persistenti in quello di Matera.
I decessi dei bambini furono in questo abbastanza numerosi. Il male pare abbia preso stanza in esso perché vi ha trovato le opportune condizioni topografiche e climatologiche. Così avvenne pure del colera che penetrato una sola volta nel Comune di Matera vi si fermò nel 1867 per 4 mesi cagionando 801 morti.
Furono pure le migliori e più efficaci misure igieniche che riguardarono lo spazzamento giornaliero delle strade, la bontà e quantità di acqua potabile”.

Nella relazione del semestre seguente, anno 1884, la situazione non era migliorata:

“[…]la difterite prese notevoli proporzioni, obbligò a sospendersi la vaccinazione e provocò serii provvedimenti per parte del Consiglio Sanitario Circondariale”.

La ricorrenza della Festività Patronale diveniva motivo di discussione sulla sanità pubblica e capro espiatorio per misure igieniche e di prevenzione mai messe in atto. Di tutto ciò, il Sottoprefetto di Matera, informava il suo superiore di Potenza, come da corrispondenza del 3 agosto 1888:

“Nel numero 30, 1° Agosto del Gazzettino di Basilicata, si legge una corrispondenza da Matera nella quale, sebbene con garbo lojolesco, si attacca me per non aver vietato la festa tradizionale denominata della Bruna (2 luglio).
Nel mio foglio in data 24 giugno u.s. n.2865 e 2866 già esposi a V.S. Ill.ma le ragioni che consigliavano la permissione della festa suddetta, il cui divieto avrebbe prodotto inconvenienti ben più gravi di quelli che l’autore dell’articolo mostra di lamentare, e che sono del tutto insussistenti come si rileva dalla statistica dei casi di vajuolo verificatisi dopo la detta festa, quale statistica si mantiene in condizioni minime, ed anzi in quasi continua, sebbene lenta, diminuzione, come risulta dai bollettini giornalieri di tutto il mese di luglio, riassunti nell’unito rapporto mensile.
Noto inoltre una circostanza a proposito della parità dei voti che si riscontra nella deliberazione presa dalla Commissione Municipale di Sanità addì 23 giugno p.p. .
Due dei membri di detta Commissione che votarono contro la permissione della festa, erano stati da me prima pregati in via tutt’affatto amichevole, per negare il loro voto favorevole, poiché, a dir vero, sarebbe stato mio desiderio che la festa non si fosse fatta per evitare l’aumento della malattia, che per fortuna non si verificò.
Essi sono il Cav. Prof. Domenico Ridola e il Dottor Raffaele Bronzini, i quali avrebbero votato a favore senza la mia preghiera. Detti Signori, occorrendo, non potranno mai negare tale mia asserzione. Se poi non ho provocato da V.S.Ill.ma il divieto della festa e mi sono pregiato a concedere il permesso, si è perché l’Autorità Municipale e la popolazione desideravano e facevano voti perché fosse permessa come in tempo io ne riferii a V.S. Ill.ma col succitato foglio 24 giugno p.p. e che le mie considerazioni si fondassero nel vero, lo dimostra il fatto che la S.V. Ill.ma deve averle trovate giuste e attendibili, senza di me ne avrebbe senza dubbio ordinato il divieto. Spero quindi che la mia condotta non potrà mai incontrare il biasimo del superiore Ministero, e che nella peggiore ipotesi, Ella si degnerà difendere il mio operato.
Con la occasione avverto che il giorno 5 e 6 corrente ha luogo in questa città la fiera annua di bestiame, la quale, sebbene abbia il titolo pomposo di fiera, non è in sostanza che un modesto mercato simili a quelli comunissimi che tutti i giorni hanno luogo in città ed in paesi dell’Italia centrale e settentrionale. E poiché i casi di vajuolo si fanno sempre rari, ossia uno o due ed anche nessuno al giorno, come risulta dagli ultimi bollettini di questo mese, non credo, nemmeno questa volta, il caso di proporre a V.S. Ill.ma il divieto anche in considerazione che il concorso della gente è limitatissimo, e che in sostanza tutto si riduce a un mercato di bestiame e a qualche baracca in legno elevate da alcuni merciaiuoli nella pubblica via. […]

Il Prefetto, prontamente rispondeva:

La S.V. ha fatto bene nel porgermi tutti gli schiarimenti contenuti nella sua nota di Gab. del 3 corrente circa la corrispondenza da Matera al Gazzettino di Basilicata, ma detto ciò non avrebbe ragione di preoccuparsene oltre. A me non era sfuggita, né doveva sfuggire la ricorrenza della festa tradizionale della Madonna della Bruna. Prima che l’epidemia vajolosa fosse cessata, anche se la S.V. Ill.ma non me ne avesse fatto avvertenza. Non ho creduto di vietare la festa perché ho creduto anch’io che il rimedio fosse peggiore del male. E per lo stesso motivo non ho fatto che associarmi alle considerazioni mie intorno alla fiera di Agosto. È inutile illudersi. Fino a che  in questi paesi la povera gente continua a vivere agglomerata in stamberghe senza luce e senza aria, o in luride tane scavate nel tufo, senza possibilità di isolamenti e di serie disinfezioni, fino a che le amministrazioni locali non avranno un pensiero per la nettezza e per l’igiene pubblica se non nei giorni delle epidemie, nessun articolo di giornale farà si che la gente del popolo non abbia maggior danno dallo stare in casa che non dall’andare a prendere sole per le piazze o in processione o in fiera.

Rimanevano i glaciali rilievi statistici dei decessi, che per le prime tre settimane di giugno e l’intero mese di luglio del 1888 certificavano  ben 58 decessi per vaiolo nel primo periodo e 73 nel secondo, oltre a 3 morti per morbillo, 2 per difterite ed ancora 2 per febbre tifoidea.


Gianni Maragno

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